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Pietro Pacciani è il mostro di Firenze? La verità dietro il caso che ha ispirato la serie Netflix

Condannato e poi assolto, Pietro Pacciani rimane al centro del mistero del mostro di Firenze

Tra il 1968 e il 1985, le colline toscane furono teatro di una serie di duplici omicidi di coppie appartate, colpite con una pistola calibro 22 e successivamente mutilate con ferocia. Quei delitti sconvolsero l’Italia e diedero vita a uno dei più complessi casi criminali mai affrontati dalla giustizia: quello del cosiddetto “mostro di Firenze”.

Nel 1993, dopo anni di indagini e ipotesi, l’attenzione degli inquirenti si concentrò su Pietro Pacciani, un contadino di San Casciano Val di Pesa, nel cuore del Chianti. La sua figura, controversa e ruvida, sembrava combaciare con il profilo dell’assassino che per quasi vent’anni aveva terrorizzato la regione.

Le accuse e la condanna di primo grado

Nel 1994 la Corte d’Assise di Firenze condannò Pacciani all’ergastolo per sette duplici omicidi. La sentenza si basava su una rete di indizi, più che su prove dirette: residui di polvere da sparo, testimonianze di conoscenti, alcune fotografie di giovani donne trovate nella sua abitazione e una lettera anonima che lo indicava come il responsabile dei delitti.

L’accusa lo descriveva come un uomo violento e capace di gesti estremi, anche alla luce di una condanna precedente per omicidio. Intorno a lui si delineò anche la figura dei cosiddetti “compagni di merenda”, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, presunti complici in alcuni omicidi.

Tuttavia, già all’epoca, molti osservatori notarono che l’impianto probatorio poggiava su basi fragili e su ricostruzioni spesso contraddittorie.

L’assoluzione e le motivazioni dei giudici

Nel 1996, due anni dopo la condanna, la Corte d’Appello di Firenze assolse Pietro Pacciani con formula piena “per non aver commesso il fatto”. Secondo i giudici, nessuna prova diretta collegava l’imputato ai delitti. Le testimonianze chiave furono ritenute inaffidabili, alterate dal tempo o influenzate dalla pressione mediatica.

Inoltre, il profilo psicologico del contadino di San Casciano non corrispondeva a quello di un assassino metodico e capace di eludere per anni gli inquirenti. Gli esperti sottolinearono come Pacciani fosse un uomo impulsivo e poco incline alla pianificazione, incompatibile con la precisione dei crimini attribuiti al mostro di Firenze.

Nel 1997 la Cassazione annullò l’assoluzione, chiedendo un nuovo processo. Ma nel febbraio 1998 Pacciani morì improvvisamente, lasciando irrisolta una delle pagine più oscure della giustizia italiana.

Un enigma che resiste nel tempo

Con la morte di Pacciani, il procedimento penale si chiuse senza una verità definitiva. I presunti complici Vanni e Lotti furono successivamente condannati, ma le loro confessioni — confuse e piene di incongruenze — non riuscirono a chiarire i contorni del mistero.

A quasi quarant’anni dagli ultimi delitti, il caso del mostro di Firenze continua a dividere investigatori e studiosi. Pietro Pacciani resta per molti il volto simbolico di quella vicenda, ma per la giustizia italiana non fu mai dimostrato che fosse lui l’autore degli omicidi.

Oggi la sua storia, tornata alla ribalta grazie a una serie Netflix ispirata al caso, rimane il riflesso di una verità incompleta, sospesa tra mito, cronaca e ossessione collettiva.

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